IL TRIBUNALE
    Ha  pronunciato  la seguente ordinanza nella causa civile iscritta
 al n. 27234 del  1987  e  al  n.  35757  del  1986  vertente  tra  la
 presidenza  del  Consiglio  dei Ministri elettivamente domiciliata in
 Roma, via dei Portoghesi,  12,  presso  l'Avvocatura  generale  dello
 Stato, appellante, e la Federazione sindacale delle rappresentanze di
 base elettivamente domiciliata in Roma, via  Po,  49,  presso  l'avv.
 Emilio  Rinaldi  che la rappresenta e difende in virtu' di procura in
 atti, appellato.
    Oggetto:  ordinanza  ai sensi dell'articolo 23, terzo comma, della
 legge 11 marzo 1953, n. 87.
                              M O T I V I
    1.  -  Con  ordinanza ex art. 700 del c.p.c. emessa il 29 novembre
 1986 su ricorso della Federazione sindacale rappresentanze  di  base,
 il pretore di Roma, quale giudice del lavoro, ordino' alla Presidenza
 del Consiglio dei Ministri di invitare la Federazione ricorrente alle
 trattative  per  il  rinnovo dei contratti nel comparto enti pubblici
 non economici, fissando la data del 15 dicembre 1986 per l'inizio del
 giudizio di merito.
    Con atto di citazione notificato il 12 dicembre 1986, non iscritto
 a ruolo nei termini e riassunto con atto notificato  il  23  dicembre
 1986, la Presidenza del Consiglio dei Ministri convenne a giudizio la
 Federazione  sindacale  delle  rappresentanze  di  base  davanti   al
 tribunale di Roma chiedendo che fosse revocata l'ordinanza cautelare,
 che fosse dichiarato il difetto assoluto di  giurisdizione  -  o,  in
 subordine,  il  difetto  di  giurisdizione dell'autorita' giudiziaria
 ordinaria - in ordine alla pretesa del sindacato ricorrente di essere
 ammesso  a  partecipare  alle  trattative  suddette,  oppure,  in via
 ulteriormente subordinata, che fosse dichiarato  che  la  Federazione
 sindacale  delle  rappresentanze  di  base  non  era  da considerarsi
 organizzazione sindacale  maggiormente  rappresentativa  ex  lege  n.
 93/1983.
    La  Federazione  sindacale  delle rappresentanze di base, da parte
 sua, provvide ad iniziare il giudizio di merito ex art. 702,  secondo
 comma,  del  c.p.c.  con ricorso depositato il 15 dicembre 1989 nella
 cancelleria del pretore di Roma, quale giudice del lavoro,  chiedendo
 che  fosse accertato il suo diritto a partecipare alle trattative per
 l'accordo di comparto relativo agli enti pubblici non economici.
    Costituendosi  nel giudizio pretorile, la Presidenza del Consiglio
 dei Ministri deduceva, in successione, la litispendenza, in relazione
 al  giudizio  da  essa  promosso dinnanzi al tribunale; il difetto di
 giurisdizione del giudice ordinario; l'incompetenza del  giudice  del
 lavoro;    l'inammissibilita'    del    provvedimento   d'urgenza   e
 l'infondatezza, nel merito, della pretesa del sindacato ricorrente.
    Con  sentenza  non  definitiva  dell'11 aprile 1987 e con sentenza
 definitiva dell'8 giugno 1987, il pretore respinse tutte le eccezioni
 pregiudiziali  opposte  dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e
 accolse  la  domanda  proposta  dalla  Federazione  sindacale   delle
 rappresentanze  di  base,  dichiarando  il  diritto di quest'ultima a
 partecipare alle gia' menzionate trattative.
    La  Presidenza  del Consiglio dei Ministri proposte appello contro
 tali decisioni con  ricorso  depositato  il  12  ottobre  1987  nella
 cancelleria  della  sezione  lavoro  del tribunale di Roma, ribadendo
 l'eccezione di litispendenza e  chiedendo  che,  in  accoglimento  di
 essa,  il tribunale annullasse la sentenza impugnata e disponesse poi
 ai sensi dell'art. 39 del c.p.c. In  via  gradata  veniva  riproposta
 l'eccezione  di  difetto  di giurisdizione del giudice ordinario e di
 incompetenza  del  pretore  quale  giudice  del  lavoro.  In  estremo
 subordine,  l'appellante  chiedeva  il rigetto delle domande proposte
 dalla Federazione sindacale  delle  rappresentanze  di  base  perche'
 infondate.
    Con  ordinanza  del 7 luglio 1989, il collegio della prima sezione
 civile (ordinaria), davanti al quale pendeva il procedimento di primo
 grado  promosso  dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dispose
 la  trasmissione  degli  atti  al  Presidente  del  tribunale  per  i
 provvedimenti  di  sua  competenza ai sensi dell'art. 273 del c.p.c.,
 avendo ritenuto che i due procedimenti, quello in grado di appello  e
 quello  in  primo  grado,  erano  relativi  alla stessa causa essendo
 idendico il thema decidendum; che la contemporanea pendenza  di  tali
 due  procedimenti  davanti  a  sezioni  diverse el tribunale non dava
 luogo ad  una  questione  i  litispendenza,  bensi'  ad  una  diversa
 anomalia, da dirimere con provvedimento di riunione; che quest'ultima
 non era impedita dal fatto che i due procedimenti,  pendenti  davanti
 allo  stesso  organo  giudicante,  si  trovassero  in  grado diverso,
 poiche' restava salva la possibilita' di distinguere  le  statuizioni
 relative  a ciascuno dei due procedimenti, anche ai fini di eventuali
 autonome impugnazioni.
    Il  presidente  del  tribunale  ordino'  la  riunione  delle cause
 disponendo che  il  procedimento  proseguisse  davanti  alla  sezione
 lavoro.
    2.  -  Dopo  averla  indicata  alle  parti ai sensi dell'art. 183,
 secondo comma c.p.c., il collegio solleva d'ufficio la  questione  di
 legittimita'  costituzionale,  per contrasto con gli artt. 3, 24 e 97
 della Costituzione, dell'art. 409 del c.p.c.,  e  dell'art.  1  della
 legge  8  novembre  1977, n. 847, nella parte in cui non comprendono,
 tra le controversie alle quali si applicano le disposizioni del libro
 secondo,  titolo  IV,  capo  I,  del  c.p.c.,  anche  le controversie
 promosse dal sindacato - nelle forme ordinarie e non con  ricorso  ex
 art.  28  della legge n. 300/1970 - per far valere, nei confronti del
 datore di lavoro, ed in particolare  nei  confronti  dello  Stato,  i
 propri  diritti  soggettivi alla liberta' e all'attivita' sindacale e
 all'esercizio del diritto di sciopero, non  correlati  con  posizioni
 soggettive  inerenti  al  rapporto  individuale di impiego di singoli
 dipendenti (cfr., per tale interpretazione della normativa impugnata,
 le  sentenze  delle sezioni unite della Cassazione n. 4389 e 4390 del
 26 luglio 1984, 4155 del 16 luglio 1985).
    3.   -   Valutando   l'eccezione   pregiudiziale   di  difetto  di
 giurisdizione del giudice ordinario in via interlocutoria e  al  solo
 fine  di  dare  ingresso  alla  deliberazione  sulla  rilevanza della
 suddetta questione di costituzionalita',  il  tribunale  osserva  che
 l'eccezione  stessa  appare  priva  di  fondamento,  alla  luce delle
 statuizioni enunciate dalle sezioni unite  della  cassazione  con  la
 sentenza  n.  5569 del 14 ottobre 1988, secondo cui spetta al giudice
 ordinario  la   cognizione   della   controversia   promossa   contro
 l'amministrazione  statale  da  un  sindacato  del pubblico impiego e
 avente ad oggetto la lamentata violazione del proprio diritto,  quale
 organizzazione  maggiormente  rappresentativa, di essere riconosciuta
 titolare del diritto di esercitare quelle attivita' sindacali che  la
 legge  connetta a tale qualificazione ed in particolare del diritto a
 partecipare all'attivita' negoziale destinata a formare  gli  accordi
 collettivi del settore.
    4. - Per quanto riguarda la contestata deduzione della Federazione
 sindacale delle  rappresentanze  di  base,  secondo  cui  sarebbe  da
 dichiarare  cessata  la  materia  del  contendere  in questo giudizio
 (posto  che  essa,  dopo  aver  partecipato  alla   trattativa,   non
 sottoscrisse  l'accordo  collettivo  che  la  concluse, mentre fu poi
 ammessa  senza  contestazione  e  con   pieno   riconoscimento   alla
 trattativa  per  il  successivo  rinnovo  contrattuale), il tribunale
 osserva, sempre ai fini della  deliberazione  sulla  rilevanza  della
 suddetta  questione  di  costituzionalita',  che  la cessazione della
 materia del contendere non puo' essere dichiarata se non siano  state
 superate   le  questioni  di  competenza,  in  quanto  queste  ultime
 precludono l'esame del  merito  della  controversia  e  quindi  anche
 l'accertamento e la dichiarazione che l'oggetto di essa e' cessato.
    5. - Il giudizio non puo' quindi essere definito indipendentemente
 dalla risoluzione  della  questione  di  legittimita'  costituzionale
 enunciata  al  precedente n. 2. Questo collegio deve infatti decidere
 se competente a giudicare della  controversia  in  oggetto  in  primo
 grado  era  il pretore, quale giudice del lavoro, ovvero il tribunale
 civile ordinario, dovendo, nel  primo  caso,  annullare  la  sentenza
 pretorile  e  proseguire  la  trattazione del merito quale giudice di
 primo grado; nel secondo,  dichiarare  l'incompetenza  del  tribunale
 adito  in  primo  grado dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e
 giudicare sull'appello  da  essa  proposto  contro  la  sentenza  del
 pretore.
    6. - La questione stessa appare non manifestamente infondata per i
 seguenti motivi.
    6.1.   -  In  molteplici  occasioni  la  Corte  costituzionale  ha
 stabilito che il  principio  di  uguaglianza  rappresenta  un  canone
 generale   di   coerenza   dell'ordinamento  normativo  (sentenza  n.
 204/1982)  e  che  pertanto  situazioni   omogenee   possono   essere
 sottoposte   a   trattamenti  normativi  diversi  senza  ledere  tale
 principio soltanto se gli elementi di diversita' che dette situazioni
 presentano  possano  ragionevolmente  giustificare tale diversita' di
 disciplina. In caso contrario, se cioe' le situazioni non  presentano
 elementi    di   differenziazione   oppure   se   gli   elementi   di
 differenziazione che  esse  presentano  sono  tali  da  non  lasciare
 ipotizzare  alcun  ragionevole  collegamento  con  la  disparita'  di
 trattamento per  esse  disposta,  tale  disparita'  non  puo'  essere
 ricondotta   all'esercizio   della   insindacabile   discrezionalita'
 politica del legislatore, ma  si  presenta  quale  manifestazione  di
 arbitrio  o  di  intrinseca  irrazionalita'  e  quindi e' censurabile
 secono il metro dell'art. 3. Tale ipotesi si verifica in  particolare
 -  anche  se  non  esclusivamente  - allorquando la disparita' non e'
 frutto di una consapevole scelta legislativa, ma di causale  mancanza
 di coordinamento normativo tra disposizioni.
    Questo e' proprio cio' che si verifica nella fattispecie in esame.
 La volonta' del legislatore di ricomprendere  anche  le  controversie
 aventi ad oggetto il diritto delle organizzazioni sindacali al libero
 esercizio dell'attivita' ad esse propria nell'ambito di  applicazione
 della  legge  n. 533/1973 venne resa manifesta dalla legge 9 dicembre
 1977,  n.  903,  significativamente  intitolata,  appunto  "Norme  di
 coordinamento...".  La lettera dell'art. 1 di detta legge, cosi' come
 la  lettera   dell'art.   409   del   c.p.c.,   secondo   l'apparente
 interpretazione  delle  sezioni  unite, non consentirebbe peraltro di
 comprendere nell'ambito di applicazione della legge 11  agosto  1973,
 n.  533,  anche  le controversie aventi il medesimo oggetto di quelle
 previste dall'art. 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300, ma iniziate
 nelle forme ordinarie anziche' nelle forme del procedimento speciale;
 in particolare non consentirebbe  l'applicazione  delle  disposizioni
 della  legge  533  alle  controversie  proposte  dalle organizzazioni
 sindacali dell'impiego statale per far valere i diritti soggettivi di
 liberta'  e  di  attivita'  propri  delle organizzazioni stesse e non
 correlati a posizioni soggettive inerenti al rapporto individuale  di
 impiego,  posto che tali controversie non possono essere promosse con
 il ricorso di cui all'art. 28. Le stesse andrebbero  quindi  proposte
 davanti   al   tribunale   civile   ordinario  -  essendo  di  valore
 indeterminabile -  e  si  svolgerebbero  nelle  forme  dell'ordinario
 giudizio di cognizione.
    Non   e'   invece  dubitabile  che  tali  controversie  presentino
 caratteri  identici  ed  esigenze  uguali  rispetto   alle   analoghe
 controversie  iniziate  con  il  procedimento  di cui all'art. 28 per
 quanto riguarda sia la specializzazione del giudice, sia le forme  ed
 i caratteri del rito.
    E'  pur  vero  che  la  Corte  costituzionale, nel disattendere la
 questione di  costituzionalita'  riguardante  l'inapplicabilita'  del
 procedimento di cui all'art. 28 ai sindacati dell'impiego statale, ha
 messo in luce le differenze che sussistono tra impiego statale, da un
 lato,  ed impiego privato o impiego pubblico non statale, dall'altro,
 in ragione, principalmente, del fatto  che  il  rapporto  di  impiego
 statale  e'  strumentalmente  collegato  a finalita' istituzionali le
 quali,  per  essere  assunte  direttamente   dallo   Stato,   debbono
 intendersi  come  basilari  per l'esistenza stessa ed il mantenimento
 delle condizioni indispensabili  alla  vita  della  comunita'  (Corte
 costituzionale,   ordinanza   n.   860  del  21  luglio  1988).  Tale
 considerazione,  peraltro,  mentre  appare  mettere   in   luce   una
 ragionevole  ipotesi  di  giustificazione - come tale non sindacabile
 dal giudice delle leggi - della scelta di salvaguardare lo  Stato  da
 uno  srumento  di  tutela particolarmente incisivo ed efficace, quale
 quello apprestato dall'art. 28, non appare razionalmente  collegabile
 ad  una  differente  disciplina delle forme del processo ordinario di
 cognizione, anche in relazione alle implicazioni che  cio'  determina
 in tema di qualificazione professionale del giudice.
    6.2.  -  L'irrazionalita'  della  esclusione delle controversie in
 oggetto dall'applicabilita' delle norme processuali previste  per  la
 generalita'  delle  controversie  di  lavoro  e delle controversie in
 materia di diritti sindacali in senso stretto appare  costituire  una
 violazione   anche   del  principio  della  naturalita'  del  giudice
 stabilito   dall'art.   25   della    Costituzione,    inteso    come
 specificazione,  in  tema  di  ripartizione delle competenze, di quel
 medesimo canone di coerenza dell'ordinamento di  cui  all'art.  3  e'
 espressione generale.
    6.3.  -  La  medesima  irrazionalita',  per  le  disfunzioni  e le
 diseconomie processuali che essa comporta, oltre che per  il  maggior
 rischio    di    orientamenti   giurisprudenziali   inconsapevolmente
 disarmonici che ne deriva, appare rappresentare anche una  violazione
 del  criterio  del  buon  andamento, che l'art. 97 della Costituzione
 stabilisce come canone organizzativo  generale,  riferibile  a  tutta
 l'organizzazione  pubblica  e  quindi  anche all'organizzazione della
 funzione giudiziaria (Corte costituzionale n. 177/1973,  n.  86/1982,
 n. 18/1989).